Sapore di mare
Non tutti hanno la fortuna di avere un amico pescatore che vi porta in barca. Io sì e così affermo – senza temadi smentita – che il modo migliore per gustare il riccio di mare è tagliare a metà il guscio appena pescato e col dito a mo’ di cucchiaino raccogliere la polpa rossa. È il mare che si mangia.
Se invece si va in una vera e popolare trattoria lungo la costa il must è ordinarne almeno una cinquantina, già aperti su un grande piatto, e usare il pane per prendere le gonadi.
Ma quale riccio? Maschio o femmina? Ecco la prima credenza – pardon, oggi si dice fake news – da sfatare.
Non è vero che i più buoni sono le femmine dagli aculei più chiari e dal colore violaceo: le cinque gustose strisce di polpa rossa non sono uova ma le gonadi presenti in entrambi i sessi.
Le spine
Invece di maschi e femmine, nel Mediterraneo bisogna parlare di cugini della stessa famiglia, gli Echinodermi: con spine lunghe e nere gli Arbaciidae; dagli aculei più chiari gli Echinidae, la più consumata tra le 169 specie esistenti nel mondo. Lasciamo però gli ittiologi per dare la parola agli chef che esaltano il riccio nei loro menù.
A Viareggio c’è perfino chi col riccio fa un gelato salato. «I miei – racconta Luca Landi del Lunasia – arrivano dall’isola della Meloria. La polpa è rosso intensa, dà a ogni piatto una “marinità” assoluta, è un sorso di mare». Landi realizza anche una specie di maionese. «Perché – spiega – l’anima del riccio è ricca di albumina e se montata con l’olio diventa una maionese marina per condire crudi e insalate di mare. Io la uso anche per il carpaccio nella mia Marinata marina».
Passando dal Mar Tirreno al Canale di Sicilia, nella punta più a Sud d’Italia, Peppe Barone di Ammare a Sampieri (Ragusa) dice – senza se e senza ma – di preferire il riccio crudo (emulsionato sulla pasta col prezzemolo). «È essenza di mare – afferma – dal sapore dolce o amaro in funzione di dove bruca e delle alghe che mangia.
I nostri sono arancioni, non scuri. Quello siracusano è polposo, carnoso, delicato. A Taormina è più profumato, determinato». Barone in un bicchierino alterna burrata, gamberi rossi arrostiti e alga mauro (tipica del catanese).
La sapidità
«Il riccio crudo – confessa – va messo sempre alla fine: in purezza, non cotto, arrotonda e sintetizza tutto, emerge sempre. Col suo carattere autoritario e la personalità spiccatissima aiuta lo chef, lo rende più sicuro».
Nell’Adriatico i ricci migliori sono della Puglia, dove antica è la tradizione della pesca. Mauro Uliassi – strepitoso Tre stelle Michelin di Senigallia – se li fa però arrivare dalla Sardegna. Dichiara di avere un fornitore personale che li seleziona, pulisce e mette sottovuoto. «Hanno – racconta – una sapidità intrigante. Io preferisco quelli che vivono tra le alghe, perché più saporiti di quelli di sabbia o di roccia, hanno un sentore spiccato di sedano».
Uliassi, con i ricci ghiacciati, realizza un suo piatto simbolo, il pancotto con le mandorle. Trattati dai grandi chef o assolutamente nature, i ricci sono insomma estremamente versatili e regalano ai piatti una marcia in più. A cui non rinunciare durante l’inverno. Spendendo tra 10 e 20 euro si trovano confezioni di polpa di riccio: tutto considerato poco per gustare la memoria del mare.