La specialità
Quanta potenza evocativa in un semplice maritozzo, icona pop della gola all’ombra del Cupolone. Non è un caso se in Love & Gelato, commedia cartolina girata da Brandon Camp, il maritozzo, quello tutto panna, figura tra gli strumenti seduttivi con cui il giovane aspirante chef Lorenzo conquista il cuore dell’americana Lina lungo una sua specialissima vacanza romana.
Ma il maritozzo diventa anche esilarante metafora dei piedi gonfi, come confessa Anna Longhi ad Alberto Sordi in Vacanze Intelligenti, film a episodi del 1978, dove Remo e Augusta, coppia di romani ruspanti, sono spediti dai figli intellettuali a vedere la Biennale di Venezia. E ancora, come non ricordare il funambolico excursus inventato da Belli in un suo sonetto del 1832, Er Padre de li Santi, dove il maritozzo diventa una delle infinite parole che a Roma indicano l’organo maschile?
Come tutte le figure mitologiche, anche il maritozzo è intriso di leggenda. Quando nasce, perché si chiama così, come è fatto? L’origine romana, quella è certa, rimanda alla panificazione al tempo dei Cesari. Un impasto di farina, uova, strutto, un pizzico di sale e un po’ di miele modellati in forma di pagnotta aperta. Una base rimasta sostanzialmente invariata nel tempo, anche per uno specifico consumo pastorale, per la sua facilità ad essere portata in una bisaccia, oltre che per il forte contenuto calorico.
Interessante anche l’uso liturgico, perché il “maritozzolo”, come lo chiamava Belli, detto “er santo maritozzo”, o anche Quaresimale, era l’unico dolce consentito in tempo di Quaresima. Olio al posto dello strutto e poi un “rinforzo” di zucchero, uvetta, pinoli, canditi.
Sull’origine del nome maritozzo ci soccorre invece Giggi Zanazzo. Poeta, bibliotecario grande cultore della storia della città (era nato in via dei Delfini, tra Margana e Campitelli), autore nel 1908 di Usi, Costumi e Pre-giudizi del Popolo di Roma. Secondo la sua versione, il dolce – che era molto più grande del formato già in uso ai suoi tempi – era impiegato come promessa simbolica di matrimonio. Tutto ornato di fregi di zucchero – due cuori, un cuore trapassato da una freccia, due mani che si intrecciano – il dolce recava anche un dono sorpresa, spesso un anello d’oro, che il promesso marito, il “maritozzo”, appunto, offriva alla sua donna del cuore.
L’evento
Oggi il maritozzo, nella sua versione novecentesca, con un gran ciuffo di panna a colmarne il cuore aperto, è diventato promessa, ma solo di peccati di gola, diffondendosi anche fuori dalle Mura. A Milano ne sa qualcosa il mitico Iginio Massari che li propone in una versione ghiotta panna e crema pasticciera.
E lo sanno benissimo i romani e gli stranieri che partecipano al Maritozzo Day, evento ideato da Tavole Romane, che ha visto lo scorso dicembre più di settanta locali partecipare alla gioiosa divulgazione di un vero e proprio formato gastronomico. La grande novità è il ripieno salato, caro a chef stellati come il raffinato Riccardo Di Giacinto di All’Oro, ma anche divulgato in forma pop da Maritozzo Rosso, in vicolo del Cedro a Trastevere, in versioni che vanno dall’amatriciana giallorossa al pollo curry mele.
Un tour del cuore nella Capitale passa senza dubbio per lo storico Regoli in via dello Statuto, continua dall’eccellente Giorgia Proia di Aventina e si prolunga al Roscioli Caffè, dove Maria Elena Roscioli si diverte a raccontare un dolce tra radici e modernità. «Noi lo facciamo con panna tirata al momento, ma anche in versione salata e, per giocare un po’, anche da passeggio».