La pietanza
Non è piatto da “disprezzarsi” scriveva del polpettone Pellegrino Artusi nella ricetta 316 del suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Un’affermazione che sollecita una domanda, ovvero perché il grande gastronomo si sentì in dovere quasi di scusarsi nel presentare questo piatto?
La risposta la fornisce senza troppi giri di parole Annibale Mastroddi, macellaio gourmet con storica bottega a due passi dalla piazza del Popolo a Roma: «Artusi raccontava una cucina borghese, attingendo anche a repertori popolari e le polpette erano un piatto di intelligente impiego degli avanzi, buone anche per far scarpetta col sugo. Non per caso le liquida scrivendo che “tutti le sanno fare cominciando dal ciuco, il quale forse fu il primo a darne il modello al genere umano”.
Ovvio quindi che il polpettone riportasse subito la fantasia alle polpette, con una differenza, però: le prime sono molteplici, mentre il polpettone è un pezzo unico che si presta a farciture nobili. Senza contare il fatto che è anche adatto ad essere servito in maniera più formale.
Non per caso, riprendendo una ricetta cardinalizia lanciata dal mitico Renato Sentuti del Papà Giovanni di via dei Sediari, preparo per i clienti che me lo chiedono un polpettone… da Conclave! Carne di vitello, mortadella, prosciutto, parmigiano, pistacchi e uova. Poi basta cuocerlo nel nostro Vino Cannellino e diventa una squisitezza che si scioglie in bocca».
Le origini
Lungo le vie della storia si trovano peraltro autorevoli conferme alla teoria del macellaio romano. Sarebbe stato sufficiente trovarsi tra gli invitati al battesimo di Cosimo I, celebrato nel 1519 a Firenze, ai quali fu offerto un “pasticcio di vitella battuto a polpettone”. Tra gli ingredienti figuravano il prosciutto tagliato fine a coltello e i funghi secchi fatti rinvenire, ma – troppo vicina ancora la scoperta dell’America – non ancora il pomodoro, come si usa oggi in Toscana.
Allo stesso modo, nel 1570 troviamo nel ricettario di Bartolomeo Scappi dei “polpettoni alla romanesca”. Ricavati dal lombo del vitello, marinato in aceto e spezie, steccato col prosciutto e passato allo spiedo inframmezzato da fettine di lardo.
I grandi chef tra ‘700 e ‘800 portano in tavola la carne del vitello ridotta a poltiglia col mortaio, mescolata con ogni tipo di ingredienti, compresi pinoli e canditi. Anche se la versione più vicina ai nostri gusti viene dal Regno di Napoli, con una farcia a base di provolone e salame.
Le salse
«Il segreto del polpettone non è solo nella qualità della carne, ma anche dalla fantasia della farcia», spiega Franco Ilardo, patron appassionato del Gran Caffè Rione VIII, punto di ristoro chic al limitare del Ghetto di Roma. «Da noi la carne viene da Marano Equo nella Valle dell’Aniene. Ma è sulla farcia che ci sbizzarriamo un poco, giocando sulle verdure, ma anche sul tartufo nero in stagione ».
Le possibilità sono tante davvero. Carlo Cracco, ad esempio, lavora anche sulla salsa. Il suo polpettone è molto ricco, con un trito di manzo, vitello, pollo, maiale, oltre che di verdure (carote, sedano, cipolla, broccoletti, spinaci). Ma il suo tocco magistrale si estende anche alla salsa, una besciamella fatta col brodo di carne o di verdure per esaltare tutti i sapori.
Il procedimento, comunque, è uguale in tutto il mondo: carne sminuzzata, farcia di fantasia e cottura al forno, oppure in umido. Più raro incontrare la frittura (che si può impiegare invece per le polpette), date le dimensioni dell’impasto.
La ricetta del polpettone del cardinale di Annibale Mastroddi, Antica Macelleria Annibale – Roma
Per Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani, questo è il polpettone che veniva servito ai cardinali. Ecco quindi la ricetta con tutti i passaggi del polpettone del cardinale.