Il trend
Dove sono la rucola e le pennette alla vodka, la panna imperante negli anni Ottanta e l’altrettanto invadente “letto” di rucola? E il cocktail di gamberi, antipasto d’obbligo nei matrimoni degli anni Settanta? Fossero persone – come Elmer, Herman, Tom e gli altri personaggi di Spoon River – con Edgar Lee Masters potremmo dire che «tutti, tutti dormono sulla collina». Nel cimitero dove prima o poi potrebbero finire alcuni innamoramenti gourmet del decennio appena trascorso: la cucina molecolare e la fermentazione, la birra artigianale e il vino biodinamico, il food in versione street, smart o super.
Vivrà la sostanza, non gli slogan sempre in bilico tra innovazione e tradizione, sovranismo e cucina multietnica. Sicuramente, come avviene da millenni, non faremo a meno di pane e pasta. Ma dopo il boom dei veri grani antichi e del falso frumento dei faraoni (il kamut, inventato dal marketing di un’azienda del Montana) ora è il tempo delle farine alternative.
La catena
Secondo il centro di ricerca della costosa catena di supermercati americani Whole Foods Market, è l’epoca delle nuove semole di frutta e verdura in grado di fornire proteine e fibre più ricche, spesso prive di glutine. Dalla banana al cavolfiore. In Italia sono in commercio le farine di riso (ottime per le torte dolci e per addensare le creme), di segale per biscotti e grissini, di quinoa per la pasta fresca e prodotti salati.
E ancora, ci sono quella integrale d’avena che sazia molto, di mais che non si usa solo per la polenta ma anche in pasticceria e l’integrale di orzo, adatta al cous cous. Secondo il centro di ricerca americano, la novità delle novità sarà la farina di teff, pianta millenaria che cresce solo in Etiopia e in Eritrea, a duemila metri d’altezza. Per lungo tempo era vietato esportarla da Addis Abeba, in quanto base dell’alimentazione della popolazione locale. Tolto il vincolo dal 2020, c’è chi ne prevede un boom commerciale. Dall’Africa – in particolare da quella Occidentale – arrivano prodotti di tendenza come moringa, tamarindo, sorgo, fonio e miglio. Alcuni utili a realizzare del burro meno grasso. C’è chi lo fa già con i ceci (parente dell’hummus), con i semi di tahini e perfino di anguria.
I consumatori
Tra i consumatori italiani è forte l’attenzione tra alimentazione salutare e di qualità e un nuovo ritorno alla tradizione, a fronte di un calo nei fast food. Nella ristorazione italiana – spiega il magazine Ristobusiness – dagli Usa arrivano la carne dry aged (antico metodo di frollare a secco e conservare senza l’uso di sacchettini ma tramite umidità controllata) e dalla Cina le uova essiccate, mettendo i tuorli sotto sale per allungarne la vita e creare nuovi e intensi sapori.
Tra i cuochi si rafforza la corrente di chi ama collegare mondi diversi, come carne e pesce. Un esempio è la ricetta della triglia in carrozza con guanciale che Daniele Usai, Stella Michelin a Fiumicino, ha creato – come altri colleghi Ambasciatori del gusto – per l’Istituto valorizzazione salumi italiani. «Il guanciale – spiega lo chef – è il salume più utilizzato nella cucina romana e io lo uso in parecchi piatti anche se si tratta di pesce». Insomma, pure nel cibo è questione di moda, ma alcuni ingredienti non passano mai di moda.