Il mito
Vostra nonna, uno chef stellato o chissà chi? Chi ha fatto la maionese più buona? Non stupitevi se rispondiamo Albert Einstein e se chiamiamo in causa Isaac Newton. Sì, perché è solo questione di fisica. La maionese – al pari del dentifricio, del sangue o del ketchup – è definita fluido non Newtoniano perché non rispetta le leggi sulla fluidodinamica avendo all’interno delle particelle solide che si trovano in sospensione nella parte liquida.
Lo spiega con parole chiare il padre della gastronomia molecolare, il francese Hervé This che mescola scienza e arte culinaria. «In bocca – scrive in La cucina nota a nota (Dedalo, 224 pagine, 22 euro) – sembra fluida, perché è composta da microscopiche gocce d’olio liquide disperse in una soluzione acquosa leggermente acida, anch’essa liquida. Quando è a riposo, invece, la maionese è così compatta che se vi infilate verticalmente un cucchiaio questo si mantiene dritto. Una massa di maionese ferma in un piatto appare solida, ma se la agitate comincerà a scorrere come un fluido. Per i cuochi è una proprietà fantastica, perché fa sì che un alimento quasi solido, una volta in bocca, acquisti una fluidità meravigliosa».
Complicazioni
E qui This tira in ballo la “ricetta” di Einstein secondo cui «la viscosità è pari a quella del liquido più 2,5 volte la frazione di fase dispersa rispetto al volume totale, moltiplicata per la viscosità del liquido». Troppo complicato! A noi basti sapere che «a proporzioni di olio e acqua costanti, la stessa emulsione, sbattuta con decisione, fa apprezzare meglio i composti odorosi dissolti nell’olio. Mentre l’emulsione poco sbattuta esalta i composti sapidi dissolti nella fase acquosa».
Tra tutte le emulsioni la maionese è la regina. Ne è convinta Caroline Dafgard Widnersson. «Non smetto mai di sorprendermi – afferma – del fatto che, mescolando nel modo giusto pochi ingredienti si possa ottenere un composto così vellutato». Nel ricettario Condimenti (Guido Tommasi Editore, 140 pagine, 20 euro), propone tante varianti. La giapponese con lo shiro miso e l’aceto di riso, le aromatizzate al coriandolo, zenzero o tartufo. Per la tipica ricetta provenzale aioli, al posto di tre-quattro agli tritati, Caroline suggerisce la più delicata pasta d’aglio confit. C’è perfino la vegana all’avocado.
Le varianti
Ai tre ingredienti base (uova, olio e limone) della prima ricetta di “sausse blanche” pubblicata in Francia nel 1691, ne sono stati aggiunti molti altri. Mettendo il ketchup diventa salsa rosa usata coi gamberetti. Col latticello (sottoprodotto di burro e panna) ed erba cipollina fate il texano Ranch Dressing. Si chiama remoulade quando mettete la senape. La salsa alla tartara è con cetriolini e cipolla. Rouille con aglio, zafferano e paprika. Parenti stretti della maionese sono la salsa bernese (ideale con le patatine fritte) che vede l’aggiunta di dragoncello, scalogno, pepe e cerfoglio e la salsa olandese dove a posto delle uova si usa il burro chiarificato e non pochi aggiungono vino bianco e succo di limone.
Insomma, c’è veramente da impazzire, tante sono le varianti. A proposito se a impazzire dovesse essere proprio la maionese, provate a recuperarla mettendo un cubetto di ghiaccio e mescolando di nuovo. Oppure ripartite da zero con un tuorlo e invece dell’olio usate la stessa maionese impazzita. Altro che follia, la cucina è una scienza esatta.
La ricetta della salsa aïoli di Caroline Dafgard Widnersson, Condimenti – Guido Tommasi Editore
L’ aioli (si pronuncia aiolì) è una salsa della Provenza usata per accompagnare uova sode.